Tutto quello che c’è da sapere sul Parco Nazionale del Pollino
Guida completa alla scoperta del Parco Nazionale più grande d’Italia, la Storia, l’inserimento nella Lista Globale dei Geoparchi dell’UNESCO, i progetti di conservazione, e una mini-guida su dove dormire, mangiare e cosa fare a Rotonda, sede dell’Ente Parco, e grazioso paesino della Basilicata che vi stupirà.
Il Pollino è un gigante da tutti i punti di vista. Per il massiccio da cui prende il nome, il più alto della regione; perché è il Parco Nazionale più grande d’Italia; perché in esso sopravvive una vera rarità botanica, il millenario Pino Loricato.
Agli Achei delle antiche colonie joniche della Magna Grecia doveva apparire dalla costa un po’ come l’Olimpo della madrepatria, con quella sua mastodontica sagoma, punta d’incontro fra cielo e terra, dimora degli dèi che popolavano quel loro affascinante mondo mitologico e, forse per questo, lo chiamarono Mons Apollineum, cioè Monte di Apollo, eleggendo il gigante montuoso dimora di uno degli dei più amati e per loro significativi, il figlio di Zeus appunto.
Il Paesaggio
A cavallo tra due regioni, Basilicata e Calabria, e tra due mari, il Tirreno e lo Ionio, Il Parco Nazionale del Pollino, con i suoi 196.000 ettari, è oggi l’Area Protetta più estesa d’Italia.
Il territorio presenta una morfologia prevalentemente montuosa nella quale spiccano tre massicci apparteniti all’Appennino meridionale Calabro-Lucano: quello del Pollino, situato al centro del Parco; a sud-ovest, il complesso dei Monti dell’Orsomarso e, nel settore settentrionale, isolato dal resto, il Monte Alpi.
Il complesso montuoso più interno è il gruppo del Pollino che segna, con il suo crinale, disteso lungo la direttrice nord-ovest, il confine tra le due regioni. Esso costituisce il gruppo montuoso più elevato dell’Appennino meridionale, con le cime più alte e rappresentative del Parco: Serra del Prete, Monte Crispo, Serra delle delle Ciavole, Monte Pollino e Serra Dolcedorme, la vetta più alta con i suoi 2264 metri.
A nord, il versante lucano del Massiccio si affaccia sulla valle del fiume Sinni, con pendici più dolci; sul versante calabrese, a sud, sulla Piana di Castrovillari, con un paesaggio aspro e selvaggio.
I Monti dell’Orsomarso costituiscono invece l’ossatura orografica della zona meridionale del Parco, collegati in un continuum geografico con il Massiccio del Pollino attraverso l’altopiano carsico di Campotenese e le cime di Cozzo Pellegrino, Monte Palaunda, la Montea.
A settentrione, in posizione marginale nell’ambito del territorio del Parco, si erge isolato, con i suoi 1900 metri il Monte Alpi, un interessante fenomeno geologico, per questo definito geosito che finora non ha trovato una spiegazione univoca. Gli studiosi, infatti, non sono riusciti ancora a spiegare come questa piattaforma carbonatica appartenente alla placca abruzzese-campana abbia potuto collocarsi nella posizione attuale.
I bacini fluviali, che dividono il territorio del Parco, sono pregevoli per la ricchezza di corsi d’acqua e sorgenti, alcune della quali dalle proprietà oligominerali o termali.
A nord, il bacino fluviale del Sinni, il corso d’acqua più importante del versante lucano del Parco, è alimentato da due importanti affluenti, il Frido e il Sarmento. Il primo, a carattere torrentizio, nasce da Piano Iannace, nel cuore del Massiccio, a 1800 metri di quota. Attraversa prima i Piani di Vacquarro, poi un maestoso bosco ricco di cerri e faggi, il Magnano, da dove raccoglie le acque del torrente Peschiera, e conclude la sua corsa nei pressi dell’antica Grancia del Ventrile in territorio di Francavilla sul Sinni.
Il secondo, il Sarmento, nasce nei pressi di casa del Conte, una frazione di Terranova del Pollino, attraverso la Gola della Garavina, un profondo canyon di spettacolare bellezza, per immettersi nel Sinni, a ovest di Valsinni. Le acque convogliate da Serra delle Ciavole, Toppo Futuro e Falconara alimentano il torrente Raganello, corso d’acqua famoso per le sue Gole nate dall’azione combinata dell’erosione fluviale e dai movimenti tettonici. Visto il grande valore naturalistico, per essere caratterizzate da imponenti formazioni rocciose sulle quali vegetano pini loricati, con la presenza alle quote più alte di faggete dove troviamo anche l’abete bianco, le Gole sono tutelate dal 1987 con un Decreto del Ministero dell’Ambiente come Riserva Naturale Orientata.
Dalle pendici settentrionali di Coppola di Paola sono convogliate le acque del torrente Mercure, che dopo la confluenza con il Battendiero cambia il suo nome in Lao. Qui creano una tra le valli fluviali più integre dell’Italia meridionale, habitat essenziale di numerose specie quali l’aquila reale, il falco pellegrino, il lupo appenninico, il gatto selvatico; tanto da essere riconosciuta Riserva, con Decreto del Ministero dell’Ambiente nel 1987.
Riserva Orientata, analogamente, è la Valle del fiume Argentino, un affluente del Lao, così chiamato per la straordinaria trasparenza delle sue acqua. La valle con i suoi monti circostanti, è caratterizzata da vaste foreste con piante secolari di faggio e di altre latifoglie, di pini loricati neri e, alle basse quote, esemplari di grandi dimensioni di leccio e alloro, ambiente idoneo per l’aquila reale, la coturnice, il picchio nero, il capriolo autoctono di Orsomarso, il lupo appenninico, il gatto selvatico.
La Natura: Pollino UNESCO Global Geopark
Dal settembre 2015 tutto il territorio del Parco Nazionale del Pollino è entrato a far parte della Rete Europea e Globale dei Geoparchi, riconosciuta quale Programma Internazionale delle Geoscienze e dei Geoparchi dell’UNESCO.
Gli UNESCO Global Geoparks sono aree geografiche singole, delimitate da un unico confine continuo, dove i siti e i paesaggi di valore geologico internazionale sono gestiti secondo un approccio integrato per quanto concerne la tutela, l’educazione e lo sviluppo sostenibile.
Un UGG (UNESCO Global Geopark) valorizza il patrimonio geologico locale, in stretta connessione con il patrimonio naturale e culturale presente nella medesima area, al fine di accrescere la consapevolezza e la comprensione di alcuni dei fattori chiave che la società sta affrontando a livello globale, quali l’uso consapevole delle risorse del nostro Pianeta, la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici e la riduzione dell’impatto dei disastri naturali.
Caratteristica principale del Pollino è la sua straordinaria geodiversità e l’evoluzione geologico-geomorfologica dei territori, che rappresentano il primo e fondamentale punto di partenza su cui si è impostata e sviluppata successivamente, l’enorme ed eccezionale biodiversità e la grande ricchezza storico-antropologica e culturale del territorio, che rende questa zona panoramica, lungo i confini calabresi e lucani, così altamente attraente.
La flora del Parco Nazionale del Pollino
La flora del Pollino è ricca di diversità, che trova alle diverse fasce attitudinali specifiche associazioni vegetazionali. In generale si rileva l’importanza, per estensione, dei boschi. Le foreste dominano spesso le quote superiori ai 900/1000 metri: con l’abbandono dell’agricoltura questo limite va via via scendendo. Molti terreni, che fino a pochi anni fa erano coltivati, sono in via di riconversione verso il bosco. In molti casi ci si trova attualmente di fronte alla prima colonizzazione di da parte di arbusti ed essenze forestali rustiche che, con il tempo, man mano che lo stesso suolo si arricchirà, è pensabile possano essere sostituite con essenze di maggior pregio.
La vegetazione può classificarsi in base a fasce altitudinali, a cui si associano diversi microclimi. Nell’area del Parco si ne individuano quattro: fascia mediterranea, fino ai 700/800 metri di quota, fascia sopramediterranea, fino ai 1100 metri m s.l.m.; fascia altimontana, oltre i 2000 ms.l.m.
La fascia mediterranea è dominata dalla macchia. All’origine le basse quote erano ricoperte di leccete ad alto fusto che, con il tempo, per l’alta pressione antropica, sono state abbattute per fare posto alle coltivazioni. Nell’area del Parco rimangono lembi isolati di lecceta nella valle dell’Argentino. Per il resto del territorio si hanno dovunque formazioni a sclerofille sempreverdi (piante a foglia rigida), tipiche della macchia mediterranea, le quali, a seconda dei microclimi esistenti (più umido sul versante tirrenico, più secco su quello jonico), si compongono di associazioni diverse. In generale, la macchia rimane ai margini dei terreni coltivati, molto spesso sui costoni impervi delle montagne e nelle scarpate stradali.
La fascia sopramediterranea è dominata da diversi tipi di quercia a seconda del microclima e della selezione operata nel tempo dall’uomo; le varietà più diffuse sono: poverella, cerro e farnetto. La quercia si trova spesso associata con altre latifoglie decidue come: l’acero, il frassino e il carpino. Nell’area più occidentale del Parco, per via della maggiore umidità e favorevoli condizioni del suolo, in passato la quercia è stata sostituita al castagno, che tutt’ora è presente sia sotto forma di alto fusto che (essenzialmente per la raccolta di frutti), sia sotto forma di ceduo per la produzione di legname.
La fascia montana è caratterizzata dalla presenza del faggio, specie molto diffusa nelle montagne dell’Appennino, sia da sola che in popolamenti misti. Nelle fasce più basse il faggio si associa spesso ad alcune querce, come il cerro e il frainetto; alle quote più alte lo si trova insieme all’abete bianco, come nel caso del versante nord del Monte Sparviere e soprattutto sulle pendici di Serra di Crispo.
Qui il Pino Loricato (Monti dell’Orsomarso) è relegato ai margini, dove il faggio non riesce a vegetare per le particolare condizioni pedo-climatiche: temperature rigide, suolo brullo e povero di micro-elementi.
La fascia alto montana, sopra i 2000 metri, è limitata all’acrocoro del Pollino e si caratterizza per la presenza del Pino Loricato, diffuso in modo sparso e mai in boschi fitti, come invece accade ai faggi. I Piani del Pollino, oltre i 2000 metri, sono praterie di alta quota ricche di diversità biologica, tuttavia selezionate dall’uomo, che da sempre frequenta l’area per il pascolo del bestiame.
Il Pino Loricato: il simbolo del Parco del Pollino
Simbolo del Parco, il Pino Loricato (Pinus heldreichii Subsp. leucodermis) è una specie unica, irripetibile, inestimabile del patrimonio floristico del Parco Nazionale del Pollino; con le sue forme contorte modellate dal vento, dal gelo e dai fulmini rappresenta un autentico monumento arboreo, capace di sfidare le condizioni più proibitive e i forti venti che sferzano i pendii rocciosi più accidentato delle alte quote.
I Pini Loricati sono stati soprannominati Guerrieri vegetali, che si trovano soltanto qui e in alcune zone della Pennisola Balcanica
Relitti delle antiche foreste del Terziario, sono qualificati come “ paleoendemita”, categoria naturalistica indicante entità tassonomiche che risultano limitate ad aree più o meno ristrette.. Oggi occupano circa tremila ettari, suddivisi in almeno 4 nuclei disgiunti di vegetazione, nel Parco Nazionale del Pollino, entro i cui limiti ricade l’intero areale italiano della specie.
Scoperti e descritti sul Massiccio del Pollino dal botanico Biagio Longo nel 1905, che gli attribuì il nome di “ Loricato” per la peculiarità della corteccia simile alla “Lorica”, la corazza dei legionari romani. Il Pino Loricato è un albero robusto, affascinante, con tronchi dalle forme scultoree, disegnati dalle estreme condizioni climatiche e ambientali in cui è costretto a vivere. Il Pino Loricato è una specie longeva. Studi recenti di dendrocronologia (dal greco dèndron-albero, krònos-tempo e logos-studio)., in combinazione con tecniche di radiodatazione al Carbonio 14, hanno consentito la datazione di un esemplare di 1.230 anni, ribattezzato Italus, ad oggi l’albero più vecchio d’Europa datato con metodo scientifico.
Il Pino Loricato, per secoli vissuto nell’anonimato, era ben conosciuto dalla popolazione locale e dai pastori che d’estate si spostavano con le loro mandrie verso i pascoli in quota del Massiccio del Pollino; questi erano soliti praticare vistose incisioni, ancora oggi ben visibili, sul tronco dei pini, per estrarne dei pezzi che venivano suddivisi in in tante “ deghe” (simili a tanti stuzzicadenti), utilizzate per l’accensione dei fuochi di bivacco o per farne torce da illuminazione, dato l’alto contenuto di resina. Il suo legno, molto durevole, era utilizzato per fabbricare mobili, barili per l’acqua e bauli per i viaggi dei migranti.
La tutela di questa straordinaria specie si è consolidata tanto che oggi i popolamenti di pino loricato appaiono in estensione.
La faggeta vetusta di Cozzo Ferriero, patrimonio UNESCO
La faggeta vetusta di Cozzo Ferriero, a Rotonda, nel cuore del Pollino, è stata riconosciuta Patrimonio Universale dell’Umanità dall’UNESCO, insieme ad altre 10 faggete presenti in 12 Paesi europei: Italia, Austria, Belgio, Slovenia, Spagna, Germania, Romania, Slovacchia e Ucraina; tutti all’interno del nuovo sito transnazionale denominato “ Primeval Beech Forests of the Carpathians and Other Regions of Europe”. Si tratta di tutte foreste di faggio europee sviluppatesi a partire dalla fine dell’era glaciale che si estendono dalle Alpi ai Carpazi e dai Pirenei al Mediterraneo, mostrando di sapersi adattare a differenti condizioni climatiche, geografiche e fisiche.
Il territorio italiano è quello che, dopo la Romania, presenta il maggior numero di siti di faggete vetuste dall’eccezionale valore universale; contengono un prezioso serbatoio genetico di faggi e conservano svariate specie associate e dipendenti da questi habitat forestali.
La faggeta di Cozzo Ferriero, nel Parco Nazionale del Pollino, è estesa circa 70 ettari e si sviluppa su una superficie in prossimità dello spartiacque che segna il confine tra Basilicata e Calabria , con un’esposizione prevalentemente a ovest. Geologicamente l’area è caratterizzata da rocce carbonatiche con prevalenza di calcari dolomitici su cui si sono formati suoli moderatamente profondi; vi vegetano faggi monumentali, che hanno raggiunto l’età di circa 600 anni, tipico delle fasi più mature della dinamica forestale, con presenza di alberi aventi un ampio raggio dimensionale dei diametri, ben distribuiti nello spazio e accumulo di alberi morti in piedi e schiantati, tipici delle faggete vetuste. L’assenza di impatti umani significativi per un periodo di tempo sufficientemente lungo, ha consentito alle dinamiche naturali di esprimersi, dando luogo a cenosi strutturalmente complesse e ricche di biodiversità.
La faggeta vetusta di Cozzo Ferriero rappresenta sul sito più meridionale d’Europa, una zona rifugio dove alberi centenari hanno avuto la capacità di adattarsi alle vicessitudini climatiche in aree che hanno rappresentato uno dei più importanti rifugi glaciali per la specie e che ospitano genotipi unici, adattati a climi caldo-aridi, la cui conservazione è cruciale per comprendere l’adattamento all’attuale cambiamento climatico.
A livello locale, l’alto valore simbolico, storico e culturale di queste foreste è testimoniato dall’importanza a loro riconosciuta dalle popolazioni locali che le hanno rispettate e protette anche attraverso periodi storici meno fortunati, fino a consegnarle a noi oggi.
La fauna del Parco Nazionale del Pollino
La complessa orografia, l’abbondanza di corsi d’acqua e la grande diversità floristica del territorio, che si traducono in disponibilità di habitat, sono alla base della straordinaria biodiversità faunistica del Parco.
Tra i mammiferi sono presenti il lupo, il capriolo italico, il cervo, la lontra, il gatto selvatico europeo, la tortora, la donnola, il tasso, il driomio e l’istrice, lo scoiattolo meridionale , neri con una macchia bianca sul petto.
E poi, lontre e salmandrine dagli occhiali, lungo i corsi d’acqua, gufi picchi neri e gracchi corallini. Più in alto, fra le vette più impervie aquile e nibbi reali, capovaccai e lanari e poi bianconi, poiane e falchi pellegrini che con le loro traiettorie sorvolano i cieli limpidi del Parco e uno degli universi botanici più ricchi vari d’Italia.
Di particolare interesse la presenza del capriolo italico, piccolo cervice sopravvissuto ad un’intensa pressione venatoria, esercitata soprattutto tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso e resa possibile anche dalla presenza di una fitta rete di strade montane.
Questa sottospecie, il cui isolamento geografico si sarebbe verificato già alla fine del Pleistocene (ca. 12 mila anni fa), oltre che nel territorio del Pollino, è presente solo sul Promontorio del Gargano, in alcune aree della Toscana meridionale e nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano (RM).
Rifugiatosi per anni sugli inaccessibili Monti dell’Orsomarso il capriolo oggi è in espansione verso la Basilicata, dove localmente vive in simpatria con il cervo, reintrodotto nel Parco nel 2002.
Tra gli ungulati è presente anche il cinghiale che, in continua espansione numerica e spaziale (come ovunque in Italia e in Europa), è causa di rilevanti danni alla biodiversità e alle coltivazioni. Nel Parco del Pollino il cinghiale è la principale fonte di alimentazione del lupo, che tuttavia riesce in parte ad ostacolare la sua crescita.
Il lupo è sempre stato presente su questo territorio, in grado di ospitare 5-6 branchi, costituiti da un massimo di 6-7 individui. Anche il suo patrimonio genetico si è manifestato integro, a differenza di quanto accade in alcune aree dell’Italia centrale, con tassi di ibridazione con il cane abbondantemente nella norma (1-2%).
Le attività di conservazione del Parco Nazionale del Pollino
Convivere con il lupo, conoscere per preservare
Condotto in partnership con altri 6 parchi nazionali del Sud Italia – Alta Murgia, Cilento, Val d’Aosta. Gargano, Aspromonte e Sila- e finanziato dal Ministero dell’Ambiente dal 2012, il progetto ha lo scopo di definire lo Status del lupo in tutto l’Appennino Meridionale.
È la prima volta nella storia del nostro Paese che questa specie viene studiata in un’area geografica così vasta e con un approccio volto a verificare la purezza del suo patrimonio genetico ancor prima della sua presenza e distribuzione sul territorio, dato che la specie è a rischio di ibridazione con il cane.
Si lavora per definire distribuzione, densità, numero di unità riproduttive e numero di individui per branco, ma contestualmente, si cerca di determinare l’identità genetica di singoli lupi, per verificare i rapporti di parentela, appartenenza a unità familiari ed eventuali fenomeni di dispersione.
Ad oggi sono stati raccolti 450 campioni biologici di canide, dei quali circa 173 attribuiti a lupo, e identificati 68 diversi individui, 40 maschi e 28 femmine. La tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling), condotto nel periodo agosto-settembre 2019, ha consentito di rilevare la presenza di almeno cinque branchi. Dato, anche se parziale, molto positivo se confrontato con quello degli anni precedenti.
Altri progetti di conservazione nel territorio del Parco Nazionale del Pollino riguardano:
- Il gatto selvatico e la martora
- Il monitoraggio del capriolo italiano
- La gestione del cinghiale
- La reintroduzione del grifone
Attività al Parco Nazionale del Pollino
Gli amanti degli sport da praticare all’aria aperta troveranno fra gli splendidi e maestosi scenari naturalistici del Parco Nazionale del Pollino grandi opportunità per cimentarsi in attività adrenaliniche ma anche rilassanti, a stretto contatto con la natura incontaminata:
- Trekking per tutti i livelli
- Arrampicata sportiva
- Rafting
- Kayak
- Canyoning
- Mountain Bike
- Parapendio
- Cavallo
- Sci di fondo e ciaspolate
Per maggiori informazioni su sentieri e sport praticabili può essere utile consultare il sito ufficiale del Parco Pollino
E se non lo sapevate, il centro Outdoor “ number 1” d’Europa si trova qui: si chiama River Tribe un posto pazzesco dove vivere appieno l’avventura in totale sicurezza accompagnati sempre da guide certificate.
Luogo perfetto per rilassarsi dopo una discesa in rafting o in kayak del fiume Lao, e programmare le prossime attività. Si può anche dormire lungo il fiume, nelle tende sugli alberi o in quelle stile glamping; godere di una sessione di yoga nella magnifica shala nel bosco o semplicemente rilassarsi in una delle amache a disposizione.
River Tribe nasce da un’idea molto ambiziosa di Antonio, il proprietario, il quale, dopo aver viaggiato e praticamente vissuto in mezzo mondo ha deciso di “ investire” le sue energie nel progetto di creare una “ tribù”, un gruppo di persone amanti della natura con l’intento di far conoscere il territorio della sua terra d’origine, in questo paradiso d’Italia, tra la Calabria e la Basilicata. Andateci e fatevi programmare qualche giorno, non ve ne pentirete.
Rotonda
Da Rotonda, sede dell’Ente Parco, partono diversi sentieri per andare alla scoperta degli angoli più belli del circondario. Il borgo è completamente immerso nel verde con i ruderi del castello del XV secolo che dominano l’abitato in uno scenario dai contorni disegnati dai profili delle alte vette circostanti.
Fra i vicoli che si snodano intorno ai palazzi storici decorati da portali di pietra si erge la silhouette della settecentesca chiesa Madre dedicata alla Natività della Vergine, al cui interno spiccano una pregevole Madonna in marmo scolpita nel 1500 e una tela del 1600 di Pietro Antonio Ferro raffigurante la Sacra Famiglia.
In paese si trova anche il Museo Naturalistico e Paleontologico del Pollino che conserva straordinari fossili di animali preistorici ritrovati nell’area. Si ha la possibilità di fare un grande salto nel tempo, in quella Preistoria durante la quale la Terra era popolata da animali di grandissime dimensioni che tanto ancora affascinano. Nel museo sono presenti, tra l’altro, i resti di un esemplare di Elephas antiquus italicus risalente al Pleistocene medio superiore (400-700mila anni fa), presumibilmente alto quattro metri e lungo sei, zanne comprese, morto all’eta di circa trent’anni forse per una brutta caduta nelle acque del fiume Mercure, al tempo un grande lago interglaciale.
Rotonda è famosa in tutta la regione perché vi si svolge uno dei riti arborei più affascinanti e spettacolari d’Italia. Si tratta di rituali propiziatori legati alla fecondità della Terra, le cui origini si perdono nella notte dei tempi e che danno vita a suggestivi “ matrimoni” in cui a sposarsi non sono persone ma alberi. Alberi che diventano punti d’incontro tra terra e cielo, l’uomo e il cosmo, secondo significati di origine pagana, a cui nei secoli si sono aggiunti altri di matrice cristiana. È il concetto di risurrezione dell’uomo che, proteso verso il cielo, rinasce dalla morte.
E non a caso la Sagra dell’Abete di Rotonda si svolge a giugno in concomitanza con la festa dedicata a Sant’Antonio da Padova.
A unirsi in matrimonio sono un faggio, scelto fra i più imponenti, e un abete bianco, scelto, invece, fra quelli più belli e con la chioma più folta, che vengono prima abbattuti e poi trainati processionalmente in paese con l’aiuto dei buoi.
Qui vengono innestati l’uno all’altro e innalzati con corde e forcelle di legno in un unico grande totem arboreo alto più di trenta metri.
Il faggio (a pitu) rappresenta l’elemento maschile mentre l’abete bianco (a rocca) quello femminile, scelti, scrupolosamente da roccisti e pitisti, gruppi di uomini, il cui ruolo si tramanda da padre in figlio. Si organizzano accurate spedizioni tra i boschi alla ricerca dei due sposi e il momento in cui i colossi vengono scelti, e abbattuti, e gli alberi vacillano sotto i colpi d’ascia, fino a crollare in un tonfo che fa tremare tutta la terra, è sicuramente tra i più solenni della celebrazione.
Ma tutta la festa è un crogiuolo di suggestioni e grandi emozioni, assolutamente da non perdere.
Dove dormire a Rotonda
L’albergo diffuso Il Borgo Ospitale si sviluppa all’interno del centro storico di Rotonda e nasce come un progetto culturale che si propone di dare valore all’identità storica del luogo. Attualmente le camere sono dislocate in due strutture differenti:Sant’Anna e Mamma Peppina, entrambi risalenti alla fine del 1800. Nella ristrutturazione sono stati ricreati gli ambienti originali, è stato possibile recuperare fedelmente gli spazi, dai mobili in legno massello, alle travi a vista. Tutto è stato pensato in modo da offrire un’esperienza legata alla tradizione e alla memoria.
I servizi offerti da Borgo Ospitale sono legati alle culture locali, dai vecchi mestieri e, ovviamente, alla scoperta delle bellezze naturali del Parco.
Si offrono servizi navetta, visite alle aziende produttrici della DOP Melanzana Rossa e Fagiolo Bianco di Rotonda, vari tipi di attività sportive e culturali e lezioni di panificazioni e cucina.
Da non perdere una visita al Parco della Lavanda con degustazione di prodotti tipici (solo d’estate)
“ Eufrasia” è il centro benessere dell’albergo diffuso, un vero e proprio angolo di paradiso e fiore all’occhiello del “ Borgo”. Si possono scegliere fa vari percorsi: dalla piscina alla sauna, dal bagno turco all’angolo tisaneria. Ho amato la zona relax dove le pareti sono fatte di roccia di sale.
Dove mangiare a Rotonda
Vi consiglio solo posti che ho provato personalmente:
Il Ristorante Bracieria “ a rimissa” che ci ha accolto per cinque giorni, accontentando tutte le nostre esigenze. Nasce come ristorante di carne ma ha molte opzioni anche per noi vegetariani e vi assicuro che il cibo è davvero il top.
Il Pollino Divino, un wine bar, novità degli ultimi mesi che nasce in un bellissimo palazzo storico adiacente alla piazza principale, con una grande varietà di etichette, un menù da aperitivo ricco e completo per passare una serata in spensieratezza. I panini sono pazzeschi e l’ambiente è super accogliente. Bravi, ci siete piaciuti!